Stringere, congiungere, cucire pagine di libri, incastonare gemme, legare note musicali, legare salse, legare metalli, concatenare idee, fermare un affondo di scherma, legare piante, legati testamentari, legarsi a una persona, a un’idea, a un progetto, a un sentimento alto, anche oltre l’amore, ma va bene anche solo l’amore che non è mai troppo. Una mostra che ha per titolo una parola dai tanti significati come questa cela per chi la deve presentare trabocchetti e meraviglie: gli autori sono quattro, quali legami avranno fra loro? Riuscirò a coglierli? Stabilirò legami con gli artisti e il loro lavoro? Saprò cogliere il filo che gli lega?
Già il luogo dove sono esposte le opere è un luogo di corrispondenze: è un giardino, il giardino dove Mariella Poli da anni in estate crea mostre ed eventi di incantata raffinatezza. Dopo un periodo di sosta questo spazio è tornato ad aprirsi.
In questo giardino ho visto mostre, e alcune le ho presentate, ho ascoltato musica e poesie, mangiato e brindato; conosco infatti Mariella da anni, quindi ecco il primo legame.
Ci sono poi i legami ritrovati, come quelli con due degli artisti presenti, Claudio Tomei e Cristiana Pucci, che conosco da molto tempo, quindi già tre legami, e spero che con gli altri due, Miguel Ausili e Ester Maria Negretti, possano nascerne altri, perché le occasioni di legarsi a situazioni, case, oggetti, piante, e soprattutto sensibilità diverse dalle nostre, servono a crescere, e oggi, nei momenti che viviamo, in cui crescono la paura e la distanza fra idee e persone, è ancora più importante stringere legami e cercare corrispondenze d’anima e mente.
È stato semplice individuare il filo che lega le opere di questi quattro artisti, che è quello della sincerità della loro ricerca artistica e dell’indagine sul rapporto uomo-natura-spiritualità. Della natura avvertono la forza creativa e vitale e la profonda spiritualità, e la indagano con mezzi espressivi diversi: marmo, terracotta, legni, olio, ottenendo con sensibilità diverse risultati profondamente emozionali.
Claudio Tomei
La terra come madre ispiratrice

Claudio Tomei è legato alla terra, al fare, alla ricerca di oggetti vissuti e abbandonati che ancora conservano i segni di chi li ha usati e riusati, e che il tempo, la pioggia e il sole hanno ulteriormente plasmato. Sono lacerti che l’artista raccoglie e inserisce nelle sue opere dando loro nuovo significato, in un continuo rimando fra oggetto e idea, significante e significato.
Tomei ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Carrara, e nelle prove giovanili già si avvertiva una sensibilità non comune. Negli anni Ottanta ha iniziato a lavorare come artigiano in vari laboratori, imparando tutto quello che deve saper fare uno scultore, lo scalpellino, lo sbozzatore e il formatore in gesso. Ha poi frequentato il laboratorio Angeli di Querceta, ambiente stimolante dove ha incontrato alcuni dei maestri più importanti degli anni Ottanta: fra tutti Isamu Noguchi, scultore stratto statunitense di fama internazionale, la cui sensibilità lo ha ispirato anche nella scelta di dedicarsi alla scultura in terracotta in cui Isamu aveva dato prove profondamente liriche. E poi Pietro Cascella, Franco Adami, Viliano Tarabella e Rinaldo Bigi, già suo insegnante all’Accademia.
In quegli anni affina le sue capacità espressive e stabilisce la sua poetica, lavorando prima il marmo, per approdare poi alla ceramica e alla terracotta, materiali con cui lavora tutt’oggi e che sente più affini alla sua sensibilità: sulla terracotta i segni, le tracce colorate e l’impronta della mano dell’artista acquistano un valore più intimo, quasi di antica sacralità.

Claudio ama camminare, soprattutto in montagna, e durante le sue passeggiate errabonde fra cave, monti e boschi raccoglie oggetti abbandonati, usati prima dall’uomo e poi corrosi dal tempo; sono frammenti ormai inutili, ma non per Claudio, che li riporta in vita nel suo studio inglobandoli nelle sue opere. Sono chiodi, fili elicoidali da cave, pezzi di rotaie e frammenti ceramici, che vengono riportati a una vita nuova e diversa nelle sue sculture in terracotta, colorata con una palette di tinte naturali, sfumature di rossi, marroni e terre bruciate che fanno vibrare la materia. Assieme ai pigmenti naturali l’artista usa talora la polvere d’oro, per attirare l’attenzione dell’osservatore in alcune zone particolari delle sue sculture, come in Ex Voto, che vedete in mostra (e questo titolo lo troverete anche per delle opere di Miguel Ausili, un altro legame…).

A volte la coloritura confonde, come in Crocifissione mediterranea, opera intensa in cui la terracotta è dipinta a simulare un legno bruciato e consunto dal tempo; al centro di quest’opera bassa e rettangolare si trova un taglio, una specie di sindone primitiva che accoglie vecchi fili metallici arrugginiti e una sorta di corona spezzata dalle punte irregolari, alcune mozze e piegate, il simulacro di una povera corona di spine simbolo del martirio dei tanti che perdono la vita nel nostro mare.
In molte sue opere sulla materia sono incise con sensibilità linee sottili, che mi rimandano metaforicamente alle antiche vie dei canti degli aborigeni australiani: se là ogni via, monte, fiume e pozzo appartengono a un insieme di storie che intrecciandosi formano la storia del tempo, del sogno e del passaggio dell’uomo su quelle terre, qua nelle opere di Tomei le sottili tracce incise ci riportano alla vita ancestrale dell’uomo, ai suoi sogni, ai suoi ricordi e alla vera essenza della vita.

Usando nella sua ricerca artistica un materiale arcaico come la terra, dove imprime segni, colori e oggetti trovati durante il suo vagabondare, Claudio Tomei celebra come gli antichi abitanti dell’Australia un legame intimo e profondo con la natura e con la sua bellezza più profonda.
Cristiana Pucci
Arte, Alchimia e Filosofia

Mi lega a Cristiana Pucci un’amicizia lontana, nata molti anni fa dall’acquisto di un suo dipinto di cui mi ero innamorata, che ho poi regalato a mio fratello in un momento difficile della sua vita, e che a molto servì.
Anche per questo ricordo personale trovo che nelle opere di Cristiana ci sia una profondità rigenerativa, non solo colore, forma e appagante piacere dell’occhio, ma qualcosa di sotteso e archetipo che parla una lingua antica, che tocca l’anima.
Da quel momento sono passati più di vent’anni, e con il proseguire della sua ricerca i soggetti naturali prediletti dall’artista si sono sfaldati nel colore con esiti più informali rispetto alla pittura giovanile. Ora le masse di colore si compenetrano le une con le altre, e i boschi, gli alberi e le acque sono quelli del sogno, dove si avvertono segreti arcani. Sono luoghi popolati da creature invisibili che percepiamo fra il colore; non le vediamo ma ne avvertiamo la presenza, creature che conoscono i segreti della terra e del divino. Si avverte nelle sue opere una sorta di incanto primigenio.

Oggi gli elementi, terra, acque e cielo, soggetti privilegiati della sua ricerca, si mescolano come nelle opere di Turner, legandosi assieme per creare atmosfere vibranti e lontane, forme dissolte nel colore.
Partendo dalla natura Cristiana arriva a raffigurare l’inconscio e i desideri dell’anima, le malinconie, i rimpianti, il non detto, entrando in risonanza con l’osservatore.
La texture dei dipinti è scabra, in lieve rilievo (derivata dall’osservazione attenta dell’opera del suo Maestro Carlo Mattioli), i colori usati sono pochi: niente distrazioni, cielo e terra, acque, boschi e laghi sono realizzati con una o due cromie, che variano d’intensità secondo la visione che l’artista vuole raggiungere. Cristiana predilige gli azzurri, i verdi, i rossi e gli arancioni, che sono i colori degli elementi ermetici per eccellenza: acqua, aria, terra e fuoco.

La ricerca sui quattro elementi fondamentali della conoscenza, della vita, della natura e dei segreti alchemici nasce già all’inizio della sua carriera: la Terra, che accoglie e nutre l’esistenza, il Fuoco, fonte di energia e calore, l’Acqua, coesione e vita, e l’Aria, che è espansione, vibrazione, respiro.
La profondità della sua opera deriva dagli studi sul rapporto archetipo fra Natura e Anima, e dalle ricerche sul rapporto fra arte e filosofia neoplatonica. Questi interessi e queste conoscenze sono cresciuti negli anni attraverso rapporti d’amicizia e stima con artisti, letterati, matematici, filosofi e poeti, a partire dal suo maestro Carlo Mattioli da cui ha mutuato soggetti e sensibilità, a Riccardo Tommasi Ferroni, Novello Finotti, Giò Pomodoro, Mario Luzi e a Piergiorgio Odifreddi.

Con questa mostra le opere di Cristiana escono per la prima volta dai luoghi chiusi e deputati da secoli all’esposizione della pittura e si fondono mirabilmente con la natura. Esposti in questa radura circondata dagli alberi e illuminata dal sole, sorta di bosco sacro dove poter evocare divinità pagane, e accostati alle opere scultoree degli altri artisti, i profondi dipinti di Cristiana trovano la loro collocazione ideale.
MIGUEL AUSILI
Il numinoso nella pietra


Non conoscevo personalmente Ausili, avevo visto solo alcuni suoi lavori in mostre collettive; mi aveva affascinato il suo uso del colore sul marmo, e i suoi tagli, che mi avevano fatto pensare sia alla luce nell’anima che all’inizio del tutto, una sorta di stilizzazione del culto delle Grandi Madri.
Ausili lavora soprattutto marmo e pietre, ma crea anche opere su carta con collage di foglie e segni, segni ancestrali dell’uomo nel paesaggio, ricercando sottintesi legami con la natura. Nelle sue opere si avverte il desiderio di rivivere il senso panico dell’esistere, alla ricerca del legame ancestrale che esisteva fra l’uomo e il grande spazio naturale dove viveva, e il rispetto e il timore che ne derivavano.
Con marmo, pietre, ferri e piante Ausili crea piccoli totem, ex voto e altari laici o mistici, dipende anche dal nostro sguardo, comunque colmi di sentimento numinoso, quel sentimento primordiale che rimanda alle radici della spiritualità e al senso maestoso e potente dell’invisibile, e alla Grande Madre, al suo culto come fonte di vita, inizio, fertilità e sessualità.

Nelle sue sculture, realizzate anche con frammenti di marmo, spesso si apre una luce, un foro, un taglio, segnati da un tocco di azzurro, da cui entra la luce: una sorta di ferita da cui, come nelle parole del poeta e mistico persiano Gialal Al-Din Rumi, può entrare l’energia dello spirito divino, che risuona particolarmente a contatto della natura e che riusciamo a percepire se apriamo il sentire del cuore. Ma le stesse opere possono essere intese anche come totem innalzati per onorare la Grande Madre, raffigurata da Ausili da sintetici tagli: la parte per il tutto.
In alcune sculture della serie Ex Voto una piccola scala segnata dal colore conduce a un’apertura, una finestra da dove si può guardare il futuro: il male è passato, o almeno lo si crede.

Com’era in uso nell’arte arcaica e medievale Ausili colora il marmo, spesso con tocchi di azzurro, il colore della dimensione psichica che fin dall’antichità ha avuto significati divini e trascendenti, il colore del cielo, delle divinità e dell’infinito.
Per chi sa guardare con occhi attenti, le opere di Ausili aprono l’anima a una visione dell’invisibile.
Ester Maria Negretti
Le illusioni o Leggerezza e profondità

Ester è un’artista poliedrica che si esprime con la pittura, il disegno, il collage e il decollage, con soggetti astratti o più figurativi, ed espone con Mariella Poli per la prima volta, insieme hanno scelto di esporre degli alti totem che compongono un’opera dal titolo evocativo: Dialogo fra esseri senzienti, senz’altro l’opera che più si avvicina alle tematiche degli altri artisti presenti.
Il Dialogo è composto da grandi lastre verticali che sembrano di metallo, ma non lo sono, e qui inizia un gioco di illusioni che prosegue poi sul grande salice in mezzo al prato.
Le lastre sono poste in cerchio, a rappresentare simbolicamente la vita e l’unione dell’uomo con la natura e con il cosmo.
Il cerchio (segno presente nelle rappresentazioni primitive già 35.000 anni fa) diventa così lo spazio dell’incontro, al cui interno si ascolta, si parla, ci si mette in discussione e si prendono decisioni, simbolo del legame che si crea fra gli esseri umani attraverso un dialogo che aspira all’innalzamento della civiltà.

Il cerchio è una raffigurazione sacra presso tutte le culture antiche, dai nativi americani agli antichi Germani, dai Vichinghi ai miti del ciclo Arturiano: è dipinto nelle caverne primitive, è il mandala orientale, è il grande cerchio del divenire, simbolo di unità e armonia tra uomo e natura.
Ma in questo cerchio Ester gioca anche con l’osservatore: quelle che sembrano pesanti lastre di ferro sono invece di legno, dipinto a perfetta imitazione del ferro e delle sue metamorfosi rugginose (suo padre è fabbro, ed Ester ha una profonda dimestichezza con questo materiale, tanto da saperlo imitare con perizia). In mezzo alla “ruggine” si intravedono stratificazioni cartacee, forse resti di scritti antichi, nelle cui pagine potrebbero trovarsi risposte ai grandi interrogativi dell’esistenza? Ester non ce lo dice, ognuno di noi può trovare le sue risposte guardando.
Di nuovo la profondità si alleggerisce nel gioco: tra i rami del salice c’è una scultura nascosta, ma com’è possibile che quel grande frammento di marmo possa stare lassù? Indovinate di che cosa è fatto. Ester crea muovendosi tra profondità e leggerezza, e così ci lascia con un sorriso e una domanda.

Pur con le loro diverse sensibilità questi quattro artisti sono accomunati da una ricerca sul significato più alto dell’arte, perché come scrive il filosofo francese Serge Latouche nel Disastro urbano e la crisi dell’arte contemporanea, l’arte e la bellezza devono intercettare il rapporto fra l’essere umano e il sacro, respingendone lo svuotamento a mero valore di mercato.
Claudia Menichini


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