Articolo e foto di Nausica Chitarroni
“Io la colla pei manifesti non la magno”, frase tipica pronunciata da mia madre, che non ha mai gradito il piatto di cui voglio parlare, perché le ricorda una colla, fatta con acqua e farina, usata per attaccare un tessuto, il seté, all’interno del mantice della fisarmonica. Mia zia faceva questo mestiere e mamma, cresciuta alla vista di questo intruglio grumoso, si è sempre rifiutata di mangiare i frescarelli.
Il loro vero nome in realtà è frascarelli e sono un piatto povero tipico del centro Italia, in particolare delle Marche, dell’Umbria e di alcune zone dell’Abruzzo. Nelle Marche, il loro nome e il modo in cui sono fatti cambiano a seconda del territorio. Nella provincia di Ancona si chiamano frescarelli con la ″e″, ed è comune che siano realizzati con il riso, l’acqua e la farina. Mentre nel maceratese il loro nome, quello per cui sono noti, è frascarelli e gli ingredienti tipici sono semplicemente acqua e farina. Anche nel fermano sono noti come frascarelli ma qualcuno agli ingredienti base aggiunge anche un uovo, come ad esempio la famosa (e famigerata) Benedetta Rossi. Possiamo parlare anche di piccicasanti, perché la loro consistenza, appunto, ricorda la colla fatta solo da acqua e farina, usata una volta per attaccare i santini nelle case di campagna.
Ma cosa sono questi poco noti frascarelli di cui oggi vi parlo? E soprattutto come sono fatti?

Frascarelli con acqua e farina
Il loro nome deriva dalla frasca, ovvero dal rametto di legno che veniva usato per miscelare il composto, ovvero, una sorta di polenta fatta con la farina di grano tenero e addensata in acqua bollente. Il loro punto forte, se così si può chiamare, è la formazione dei grumi che danno più corposità all’impasto stesso.
La farina, infatti, viene sistemata sulla spianatora, a cui viene aggiunta l’acqua a poco a poco, fino a che non si formano con le mani dei piccoli grumi, separati da un coltello e versati in acqua bollente, che una volta rappresi formano una sorta di polenta. Questa miscela, mangiata calda, viene condita in diversi modi: dal semplice sugo rosso a base di pomodori, al sugo bianco con olio e salsiccia oppure ancora una versione più “ricca” con lonza, melanzane a dadini e pomodorini.

Una volta, chi stava in campagna, li preparava solo con acqua e farina, quando questa non serviva per fare il pane, e siccome “non c’era i soldi, il riso non ce se metteva” e venivano conditi con quello che si aveva. Le eccezioni si facevano per le feste oppure quando si ammazzava il maiale e allora nel sugo venivano aggiunte le costine, ad esempio. Nonno mi racconta sempre che quando la domenica il vicino li preparava e li metteva sulla spianatora, aggiungeva in mezzo la salsiccia e visto che mangiavano in dieci tra adulti e piccini, chi mangiava prima, arrivava prima alla salsiccia, considerata quasi un premio.
Sicuramente era un piatto comune perché gli ingredienti erano accessibili a tutti e non erano costosi.
Oggi è un piatto di nicchia che non si mangia quasi più e che cucinano soltanto le nonne, che al contrario di qualche tempo fa, hanno a disposizione il supermercato e il fruttivendolo e qualche finanza in più; perciò, i grumi di acqua e farina che si formavano sulla spianatora sono stati sostituiti da piccoli chicchi di riso.
La ricetta di mia nonna, con la quale io sono cresciuta e che posso fieramente dire essere uno dei miei piatti preferiti sono i frescarelli con acqua, farina e riso, cotti finché “l’impasto non bolle, allora è pronto” e conditi con il sugo rosso, abbondante olio, le melanzane, la salsiccia e la lonza, perché nonna, ghiotta, non si faceva mancare niente. Anche mia zia e l’altra mia nonna li preparano allo stesso modo, ma sono troppo grumosi e poco conditi, possiamo anche dire però che io sia stata abituata molto bene.
Insomma, i frascarelli sono un piatto povero, sano e genuino e che porta con sé tante storie diverse da ogni parte della regione, perché in base a come si viveva e a dove si viveva, la ricetta e i sughi cambiavano. Oggi questa pietanza, che apparentemente non è nulla di speciale, sta scomparendo; invece, andrebbe recuperata e riportata in auge perché è una parte della nostra tradizione, quella contadina che però è l’essenza della nostra regione e sarebbe bello diffonderne la ricetta ma soprattutto la storia, perché in fondo ciò che ci lega è sempre stato e sempre sarà il cibo.
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