Articolo e foto di Nausica Chitarroni

Un museo dove è obbligatorio toccare le opere per vederle

Diamo per scontato l’uso della vista, ci fidiamo degli occhi per vedere il mondo e ce ne facciamo subito un’idea. Mentre guardiamo non ci accorgiamo di poter usare gli altri quattro sensi per avere una sensazione completa su ciò che abbiamo di fronte. Porsi davanti a un oggetto e guardarlo è il primo atto che si fa per produrre conoscenza. Anche solo con una prima occhiata siamo in grado di dire se una cosa ci piace o no. La bellezza del mondo sta nei nostri occhi e in quello che vediamo.

Le cose belle, le opere d’arte più importanti, le mettiamo sotto vetro, nei musei e nelle esposizioni, posizionando in bella vista il cartello vietato toccare. Se qualcuno tocca, scatta l’allarme. Guardare e non toccare, si dice. Ai bambini, di fronte a un vassoio di dolci si raccomanda, scegli con gli occhi non con le mani.

Eppure, se qualcuno ci fa una carezza sulla pelle, ci tocca non solo il corpo ma anche l’anima. Si rizzano i peli, si provano brividi di piacere.

Potremmo imparare a usare meglio i nostri sensi per conoscere quello che ci circonda. Potremmo capire meglio che anche senza vista, le persone possono godere del bello. Occorre qualche insegnamento, qualche esperienza da fare insieme a chi ha perso l’uso degli occhi o è nato senza vista.

Sembra strano, ma si potrebbe imparare a essere ciechi per vedere meglio il mondo.

Copie del Discoforo e Discoboro

Ad Ancona questo si può fare. Nel capoluogo delle Marche, c’è una realtà artistica sconosciuta a molti ma motivo di particolare orgoglio: il Museo Tattile Statale Omero. D’agosto, durante una giornata di cattivo tempo, uggiosa, ho deciso di visitare questo museo in compagnia di mia madre. Molto meglio un museo che andare in un centro commerciale affollato da gente in cerca di riparo dal clima.
Il Museo Tattile Omero nasce dall’iniziativa di Aldo Grassini e Daniela Bottegoni, entrambi ciechi, con l’obiettivo di creare un luogo di esposizione dove tutto si potesse toccare, proprio il contrario di quello che non si deve fare in un museo. L’idea si è concretizzata nel 1993 e ha preso forma definitiva nel 2012, quando il museo è stato trasferito nella Mole Vanvitelliana, l’ex Lazzaretto della città, progettato dall’architetto Vanvitelli nel 1733 per volere di Papa Clemente XII.
All’interno del museo si possono toccare 200 copie in gesso o vetroresina di opere sia classiche che contemporanee, completamente fruibili per un pubblico cieco o ipovedente, ma anche per chiunque voglia provare l’esperienza di “vedere” un’opera d’arte usando il tatto invece della vista. L’allestimento definitivo deve essere ultimato, articolato negli stessi spazi, con un nuovo percorso interattivo composto di quattro sezioni principali. Dal 2021 il museo ospita nelle stanze della Mole anche la Collezione Design, che comprende 32 oggetti selezionati tra i progetti che dagli anni ’60 sino ad oggi sono stati menzionati o hanno vinto il Compasso d’oro.
Il Parlamento italiano ha riconosciuto come statale il Museo nel 1999 che è parte dal 2014 della Direzione Regionale Musei Marche e membro dell’Icom – International Council of Museums. Una collaborazione di particolare interesse è stata avviata con la Fondazione Catarsini 1899, di Viareggio, in Provincia di Lucca, per la realizzazione di progetti sull’accessibilità nei luoghi dove sono in mostra opere dell’artista Alfredo Catarsini (1899-1993). In queste esposizioni, la descrizione audio in italiano e in inglese è resa accessibile tramite QR Code. Inoltre è stato realizzato un modello tattile di un dipinto di Catarsini con la consulenza del Museo Omero e dell’Unione Italiana Ciechi.
La visita mia e di mia mamma è iniziata proprio dalla Collezione Design collocata al piano interrato della Mole. La raccolta è vasta e comprende oggetti d’uso quotidiano, considerati già all’epoca della progettazione vere e proprie innovazioni di stile, funzionalità, modernità ed eleganza.

Abbiamo iniziato toccando la macchina per scrivere Valentine di Olivetti, accompagnata dalla didascalia in braille e da una scheda di descrizione, al cui sonoro si accede tramite QR.
L’esposizione di oggetti di design è bella e ben organizzata. L’esperienza però è unica, perché chiunque può toccare, smontare, manovrare ogni cosa; anche chi non ne avrebbe bisogno, perché ha il dono della vista, può imparare quanti particolari in più si sentono col tatto. Tutti i pezzi esposti sono perfettamente funzionanti, come ad esempio la lampada Tizio, progettata da Richard Sapper, che grazie al suo braccio lungo e mobile, è manovrabile e permette di scegliere quale parte di superficie illuminare senza spostare tutto il corpo della lampada. Provare per credere.
Nella selezione sono presenti il calendario Timor, il telefono Grillo di Siemens, le lampade Tizio e Falkland, la sedia Ghost, la poltrona La Bocca, sulle quali è possibile, come per i restanti sgabelli e il pouf esposti, sedersi. Tra l’altro, ci sono i mocassini Gommimo di Tod’s, la cui particolarità è quella di avere la suola fatta non con una sula tradizionale, ma con gommini separati, la Moka Bialetti e la Caffettiera 9090 Alessi e altri pezzi di design.
Io e mamma ci siamo divertite a provare la seduta della sedia Ghost, fatta di vetro ma estremamente comoda; abbiamo cambiato le marce alla Vespa, preso in mano e mosso i due cavatappi Anna G. e Alessandro M. di Alessi, smontato la Moka e la Caffettiera per capire le differenze. Tutto questo mentre due bambini giocavano con la radio Cubo in esposizione, che ha iniziato a trasmettere musica rimanendo poi accesa.

Macchina per scrivere “Valentine” di Olivetti

Telefono “Grillo” di Siemens

Lampada “Tizio” di Artemide

Poltrona “Luis Ghost” di Kartell


Dopo il design le opere d’arte classiche. Nel cortile interno della Mole, di fronte all’arco d’ingresso, salendo una rampa di scale esterna e una interna, si arriva alla biglietteria del Museo Omero dove poter chiedere informazioni su come funziona la visita e acquistare una mascherina per coprirsi gli occhi. Il biglietto non si paga, per l’idea che il Museo deve essere accessibile e inclusivo per tutti, ma l’uso della mascherina, dal simbolico prezzo di due euro, rende la visita un’esperienza cognitiva davvero particolare. Il Museo è stato pensato per questo ed è bene non perdere l’occasione.
Così, fuori dalla prima sala, con la mascherina sugli occhi e l’entusiasmo di una bambina, sono stata presa per mano da mia madre che, avendo preso molto seriamente il suo compito di guida e accompagnatrice si è divertita a portarmi a spasso da una parte all’altra dell’esposizione per farmi indovinare le opere.
La prima sala che si incontra è quella dell’arte greca e romana.
Il personale del museo ci ha consigliato di partire dal corpo delle statue o comunque dalle parti più grandi per poi passare ai volti e ai dettagli, per riuscire a farsi un’idea di che cosa si stia effettivamente toccando. Devo ammettere che non è stato affatto facile.
Prima opera da scoprire: “Okay sta in piedi, porta una tunica e una fascia, ha il braccio sinistro teso in avanti e il destro lungo il corpo, è pelato e non ha i capelli. È un imperatore romano?” “No.” “Allora è un console?” “Brava hai indovinato”. Era infatti la statua del console romano Aulo Metello. E avanti così per il Discobolo, l’Auriga di Delfi, la Venere di Milo, il gladiatore Borghese, la Lupa Capitolina, che ho scambiato per un cavallo in miniatura finché non ho toccato i suoi denti aguzzi e Romolo e Remo sotto di lei.
Le sale si susseguono, ogni opera si trasforma in una sorpresa e quello che si crede noto e forse scontato diventa nuovo, non più immediato alla vista: il tatto, toccare con i polpastrelli, con le mani, diventa una sensazione profonda. Si scopre quello che ci siamo persi finora. Si impara a immaginare l’arte in un modo nuovo.

La frequentazione odierna dei musei appare più uno svago per impiegare il tempo libero che non un’attività culturale. L’arte sembra cadere in secondo piano e cedere il passo alla voglia di scattare foto e postarle sui social, per dire visto? c’ero anch’io, sono una persona di cultura. Abbiamo in mano uno strumento formidabile, lo smartphone, che usiamo troppo spesso senza accortezza. Un muro di gente che fotografa si para quasi sempre tra noi e le opere d’arte, specialmente nei musei più famosi e frequentati.

Copie di la Pietà, lo Schiavo Ribelle, il Mosè, lo Schiavo Morente

Copia della Lupa Capitolina

Copia ridotta in scala del dipinto Guernica di Pablo Picasso

Il Museo Omero inverte la moda. Non si va per vederle, le opere, non è il punto del museo. Sono copie. Per ammirarle e saperne di più esistono le collocazioni originali. Qui più che mai si tratta di usare tutti i sensi, di emozionarsi, di fare esperienza di qualcosa di inusuale. Non capita mai di poter toccare la testa del David, di Mosè o la Pietà di Michelangelo, dell’Abacuc o il frontone del Partenone. Non serve conoscere ogni opera perché, anche per chi queste conosce queste opere e le ha già viste, è una scoperta. La loro forma si scompone con il tocco delle mani: un abito diventa una parte del corpo, la schiena una gamba, la barba i capelli. Toccandole si scoprono dettagli, movimenti dei muscoli, imperfezioni. L’opera non è più statica, solo da osservare. Le sensazioni diventano reali, concrete, nette. La realtà cambia forma e anche la sala non è più disposta com’è, ma come te la immagini: ci sono ostacoli inventati che non ci sono nella realtà.
Noi che facciamo parte di una società moderna, veloce, sempre alla ricerca del brivido, del dinamismo, del momento, rischiamo di essere spiazzati. Qui si è costretti a fermarsi, a riflettere. Qualcosa manca. Con la mascherina sugli occhi il senso che più usiamo, quello che riceve più stimoli, non c’è più. E allora si è costretti a farsi guidare, a seguire la pancia e la paura, quella di urtare qualcosa, di poter sbattere. Diventiamo fragili. Ci siamo creati un disegno mentale che poi quando la luce e i colori tornano non corrisponde affatto a quello che avevamo creato nella nostra mente.
La testa di Augusto Pontefice Massimo, perciò, sembra il caschetto da Edna, l’eccentrica fashion designer degli Incredibles della Pixar, la Pietà di Michelangelo diventa bidimensionale e il torso del Belvedere, uno degli ideali classici per eccellenza e simbolo del neoclassicismo, uno Zeus qualsiasi con testa e braccia mozzate.
L’arte è anche questo, saper scomporre e crearsi un’idea propria che a volte non risponde con la realtà.
Perché arte è anche quello che ci suscita emozioni.

Il Museo Omero è un gioiello, una perla, piccola ma vera, da scoprire per imparare a vedere e vivere l’arte in un modo nuovo, diverso. Tutto appare perfetto.
Semmai, le ore di apertura giornaliera sembrano davvero poche, visto che il museo è visitabile tutti i giorni, ma solo dalle 17 alle 20, eccetto il lunedì, giorno di chiusura e la domenica quando è aperto dalle 10 alle 13. Il tempo passato al Museo Omero non sarebbe mai troppo, quello a disposizione è volato senza che io e mamma quasi ce ne accorgessimo.
L’esperienza che si fa al Museo Omero è consigliabile a tutti, appassionati d’arte e no, non tanto per passare un pomeriggio diverso quanto per capire meglio il mondo. Il Museo Omero cambia le prospettive: un luogo dove si entra con la convinzione di sapere e si esce con la consapevolezza di non sapere niente.

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